BSMA music nasce dall’intenzione di approfondire tematiche e aspetti del mondo della musica. I membri della sua redazione appartengono a variegati ambiti di gusto e formazione umana e musicale. Guidati dalla curiosità, dal desiderio di coprire tutti i generi, e dalle nostre stesse inclinazioni, cerchiamo costantemente di informare e divulgare le nostre conoscenze su ciò che ci sembra più rilevante nel panorama musicale d’attualità e non, dando spazio agli astri nascenti, ai classici, così come alle nostre preferenze, senza mai perdere l’interesse per l’aspetto artistico e culturale. Da qui nasce questa rubrica sul giornale online di BetaOmegaChi.com.
In occasione della recente cerimonia che ha visto entrare nella Rock and Roll Hall Of Fame anche l’ultimo dei Beatles, Ringo Starr, Bocconi Students Music Association ha voluto celebrare la band di Liverpool con una articolo dedicato alle sue 10 composizioni migliori, ma meno conosciute.
Quanti articoli sono stati scritti sui Beatles? Forse è inutile provare a pensarci. Si tratta di una di quelle pochissime band che riesce sempre ad accontentare tutti: anche i non appassionati non possono fare a meno di aver ascoltato, almeno una volta, pezzi storici come All you need is love, Here comes the sun, Love me do, All my loving, Yellow Submarine, She loves you, Help!, Let it be, Come together, Hey Jude e ancora tantissime altre.
Pubblicità, colonne sonore di film e serie tv, cover di ogni genere… insomma, è davvero difficile trovare qualcuno che non sia mai stato sfiorato dalle note del quartetto di Liverpool.
Eppure, nonostante la fama planetaria e la diffusione capillare di moltissime loro canzoni, rimangono pezzi conosciuti soltanto da appassionati che hanno deciso di esplorare la loro sterminata discografia e approfondire oltre le canzoni conosciute da tutti.
Ci troviamo di fronte a brani mai pubblicati ufficialmente, contenuti in vari bootleg, oppure addirittura presenti in album o singoli in 45 giri, ma che non hanno mai raggiunto la fama e il successo mediatico di altre canzoni.
Per questo motivo BSMA ha deciso di scrivere un articolo insolito sui Fab Four: al posto di celebrare i loro successi, su cui sono state spese migliaia di pagine, l’obiettivo è quello di portare alla luce pezzi che dovrebbero essere conosciuti ed apprezzati da tutti al pari dei brani universalmente famosi.
Ecco a voi!

Iniziamo questa speciale classifica con una perla nascosta: registrata intorno al 1964, ma probabilmente composta anni prima, viene considerata uno dei primissimi prodotti della coppia Lennon/McCartney. Chissà per quale motivo, venne esclusa da qualsiasi pubblicazione ufficiale, rimanendo per decenni completamente sconosciuta al grande pubblico, ad esclusione di una cover del gruppo a loro contemporaneo Billy J. Kramer & The Dakotas. Venne rispolverata durante la realizzazione della raccolta postuma “Live at the BBC” del 1994, dove acquisì il ruolo fondamentale di unico inedito mai pubblicato.
Nonostante la sua storia travagliata, è sicuramente una canzone piacevole all’ascolto, che rimane molto fedele allo stile dei primi anni. Le armonie vocali sono ben costruite, forse non originalissime (richiamano lontanamente qualche composizione di Buddy Holly), ma si tratta sicuramente di una prova molto positiva. Le parti di chitarra solista, l’impasto vocale e il bridge sono le parti più convincenti di una canzone sfortunata, ma che avrebbe meritato tutt’altra sorte.
Thank you girl può essere vista come un’infelice conseguenza dell’evoluzione musicale e digitale avvenuta nel corso degli ultimi trent’anni.
Concepita come il singolo che avrebbe dovuto bissare lo straordinario successo di Please please me, venne relegata a lato B del 45 giri dominato da From me to you. Come tutti i singoli dei Beatles, arrivò al primo posto della classifica britannica, con un successo straordinario. Ma il successo vero dei Fab venne costruito sugli album in LP, che, con il declino del vinile a partire dalla fine degli anni ‘80, prevalsero totalmente sui più brevi singoli in 45 giri. Thank you girl, come From me to you, non era contenuta in nessun album. Ma a differenza della seconda, che era ormai celebre portavoce della beatlemania, venne esclusa dalle raccolte successive, come “1” o “The red box”, e dunque dimenticata dai più.
Ho inserito questo pezzo nella classifica per la sua capacità di rappresentare perfettamente lo stile e il modo di suonare di quel preciso periodo. L’intro di armonica quasi istantaneo, la linea di basso precisa e sostenuta, il ritmo coinvolgente in uno stile che richiama il rythm’n’blues, le armonie vocali e un testo ottimista, sincero e quasi ingenuo, descrivono molto bene quello che erano i Beatles alla fine del 1963: un gruppo solido, ancora acerbo, inconsapevole, ma pronto a esplodere per rivoluzionare per sempre il modo di concepire la musica.

Trattasi di uno dei migliori pezzi dei Beatles, forse anche uno dei meno conosciuti. Composizione puramente Lennoniana, realizzata ancora prima della nascita ufficiale del gruppo a casa di sua zia Mimi, venne registrata soltanto nel ’64 durante le riprese di “A hard day’s night”, ma esclusa dalla colonna sonora del film. Verrà relegata solamente nell’EP “Long tally Sally” e inclusa della raccolta “Past Masters”.
Musicalmente parlando, è un pezzo eccellente: si basa su una struttura ritmica e armonica che passa da un rock’n’roll blueseggiante al jazz e lo ska durante l’assolo, con un cambiamento di accento davvero geniale. Le chitarre ritmica e solista sono le grandi protagoniste del pezzo, e vengono sostenute solo da un semplice campanaccio che batte metodicamente i quarti. L’uso della tonalità di Mi maggiore e la presenza di numerose settime minori rendono il tutto ancora più blues, con la voce di John che entra in perfetto contrasto con il ritmo e la melodia del brano. Un pezzo che in qualche modo si allontana dalla semplicità (ma non per questo banalità!) compositiva dei primi brani e guarda direttamente verso una creazione artistica più matura e ragionata. Da ascoltare più e più volte.
Primi mesi del 1965: in vista della realizzazione del film “Help!”, i Beatles erano in piena estasi creativa per comporre le canzoni che sarebbero dovute andare a formare la colonna sonora del lungometraggio e parte dell’album omonimo. All’inizio, vennero incluse due tracce: If you got truble, concepita per la voce di Ringo Starr, ma scartata presto (fortunatamente, aggiungerei) e That means a lot, firmata Lennon/McCartney, ma probabilmente opera del secondo, tra l’altro voce solista del pezzo. Registrata in due sedute e in due versioni differenti, si mette in risalto come composizione molto delicata e melodica, con dei bellissimi cori e ottime trovate armoniche. Nonostante questo, venne esclusa sia dal film che dall’album e rimase una canzone mancata fino all’uscita dell’Anthology, con cui venne riportata alla luce. Oggi potremmo tranquillamente dire che non avrebbe affatto sfigurato in “Help!”.

Pezzo crudo, innovativo e dissonante: per quei tempi straordinario. Think for yourself, fortunatamente, è stato inserito in “Rubber Soul”, uno dei più grandi capolavori della loro discografia. Sono ben altri i pezzi più celebrati: ricordiamo Drive my car, Norwegian wood, In my life, Michelle, Girl… sicuramente, tra gli altri, spicca questa composizione harrisioniana, dal testo e dalle armonie molto forti e dissacranti, particolarissima per un dettaglio non indifferente: la doppia incisione del basso di Paul, una in clean e l’altra distorta con un fuzz box. Una tecnica del tutto nuova per l’epoca! E la resa è perfetta: la distorsione di fondo, che si contrappone alla chitarra in levare, rende il brano molto aggressivo e dalla struttura quasi proto-punk. Le armonie vocali sono tra l’altro molto complesse, che si aggirano in tonalità molto difficili, con McCartney che si spinge fino a toccare note altissime. Pezzo memorabile e da non sottovalutare assolutament
L’album preso in considerazione è ritenuto da molti (compreso il sottoscritto) il migliore della discografia dei Beatles, e forse quello che più di tutti ha dato il via a una delle più importanti rivoluzioni musicali nella musica leggera, che l’anno successivo sfocerà nella “Summer of love” e nelle sperimentazioni psichedeliche. Revolver, inoltre, è uno di quei LP che mette in fila un capolavoro dietro l’altro: non c’è un pezzo che possa essere considerato “debole”.
Forse quello meno celebrato dai più è proprio Doctor Robert. A differenza della gran parte delle canzoni di quel periodo, viene riconosciuto subito per uno stile tagliente e rockeggiante, con un riff iniziale in puro stile british (richiama molto gli Who, i Kinks, gli Yardbirds, ecc) e una grande sezione ritmica. La sperimentazione psichedelica viene qui lasciata da parte, e i testi esoterici e mistici vengono sostituiti dall’esplicita presentazione del Dottor Robert, un medico/spacciatore che prescrive ai suoi pazienti farmaci (e non solo) per farli stare meglio. Lennon, l’autore del brano, in questo caso è molto meno coinvolto e più distaccato: descrive la storia del Dottor Robert attraverso gli occhi di un tossicodipendente che consiglia a un amico un buon posto per rifornirsi, ma sempre dietro quel velo di ironia e sarcasmo che rende il risultato molto riuscito.
Sull’identità di questo fantomatico dottore, molto è stato detto e scritto. Sono stati fatti nomi reali di medici dalla “prescrizione facile” realmente esistiti nell’alta società newyorkese, e anche conoscenti degli stessi Beatles. Addirittura lo stesso Lennon si identificò con il protagonista della sua canzone, per via del suo ruolo di rifornitore di anfetamine durante il primo periodo amburghese della loro carriera. Chiunque sia, si tratta certamente di uno dei personaggi più interessanti e affascinanti che le menti dei quattro abbiano mai partorito.